Dall’emblematicità morale ai moralismi d’emblema.
Giovanni Horozco de Covarruvias y Leyva (1544-1610) fu una figura poliedrica del Rinascimento spagnolo, distintosi come vescovo, scrittore di emblemi morali e pensatore politico. La sua opera più celebre è “Emblemas morales”, pubblicata per la prima volta nel 1589, considerata la prima raccolta di emblemi in lingua spagnola. Nato a Segovia, Giovanni Horozco proveniva da una nobile famiglia. Intraprese la carriera ecclesiastica, culminando con la nomina a vescovo di Agrigento nel 1600. Durante il suo episcopato siciliano (1600-1603), si impegnò attivamente nella riforma tridentina, convocando anche un sinodo diocesano. Successivamente, fu trasferito alla diocesi di Guadix e Baza in Spagna, dove morì nel 1610.
La sua fama è principalmente legata agli “Emblemas morales”, un’opera che si inserisce nel genere letterario degli emblemi, combinando immagini, brevi didascalie e commenti in prosa per trasmettere insegnamenti morali e politici. Quest’opera ebbe una notevole influenza nella cultura spagnola ed europea dell’epoca, contribuendo alla diffusione di questo particolare modo di comunicare concetti attraverso la metafora visiva e testuale.
Gli “Emblemas morales” sono suddivisi in tre libri e presentano un ricco repertorio di simboli, allegorie e sentenze attinte dalla mitologia classica, dalla Bibbia, dalla storia e dalla cultura popolare. Ogni emblema offre uno spunto di riflessione su temi come la virtù, il vizio, la fortuna, la giustizia, il potere e la saggezza. Sebbene non abbia lasciato un trattato politico sistematico, il pensiero politico e morale emerge chiaramente dalle sue opere, come la “Doctrina de príncipes enseñada por el Santo Job”. Egli esprime una visione del potere ispirata ai principi del buon governo, della giustizia e della prudenza. Sottolinea l’importanza della virtù del sovrano e della sua responsabilità nel guidare il popolo verso il bene comune. Nelle sue riflessioni morali, Horozco de Covarruvias si dimostra un fervente sostenitore dei valori cristiani, esortando i lettori a perseguire la virtù, a evitare i vizi e a vivere una vita retta e timorata di Dio. La sua opera è intrisa di un profondo pessimismo antropologico, che lo porta a riflettere sulla fragilità umana, sulla corruttibilità del mondo e sulla necessità di affidarsi alla fede e alla ragione per orientarsi nella vita.
Oltre agli “Emblemas morales” e alla “Doctrina de príncipes”, a Giovanni Horozco de Covarruvias sono attribuite altre opere, tra cui:
- “Paradojas cristianas contra las falsas opiniones del mundo” (1592)
- “Symbola sacra” (1601)

DIALESSI PERCEPIBILE
L’opera di Giovanni Horozco de Covarruvias, con i suoi “Emblemas morales”, si situa in un crocevia affascinante tra l’emblematicità morale come sistema di rappresentazione e la potenziale deriva verso i moralismi d’emblema, dove la forza comunicativa del simbolo rischia di sclerotizzarsi in precetti rigidi e decontestualizzati. Esplorare questa dinamica ci conduce a riflessioni metafisiche sulla natura del significato, della rappresentazione e della sua applicazione etica.
- L’Emblema come Microcosmo Metafisico:
L’emblema stesso, nella sua struttura tripartita di motto, pictura e subscriptio, può essere visto come un microcosmo metafisico.
- Il motto (inscriptio) cattura un’essenza concettuale, un frammento di verità o un principio morale. È l’ancora linguistica che tenta di fissare un significato.
- La pictura offre una rappresentazione visiva, un’immagine che incarna o allude al concetto espresso nel motto. Questa immagine agisce come mediatore sensoriale, rendendo l’astratto più tangibile e memorabile.
- La subscriptio (o commento) dispiega il significato, lo argomenta, lo contestualizza e ne trae implicazioni morali. È il tentativo di tradurre l’intuizione visiva e la sintesi verbale in una comprensione discorsiva.
In questa triade, si manifesta un tentativo di collegare il mondo delle idee (motto) con il mondo sensibile (pictura) attraverso il linguaggio (subscriptio). L’efficacia dell’emblema risiede nella sua capacità di generare una risonanza analogica, invitando il lettore a cogliere una corrispondenza tra l’immagine e un concetto morale o esistenziale più ampio.
- Analogia Morale
L’emblematicità morale si fonda sulla convinzione che il mondo sia intriso di segni e simboli che rimandano a verità morali universali. La natura, la storia, la mitologia diventano un repertorio di exempla visivi capaci di illuminare la condotta umana. Questa visione del mondo sottintende una sorta di armonia prestabilita tra l’ordine naturale e l’ordine morale, un’eco metafisica che il saggio è in grado di decifrare. Horozco de Covarruvias, attingendo a questa tradizione, cerca di educare il lettore attraverso la contemplazione di queste analogie. L’immagine del sole che sorge e tramonta può illustrare la caducità della fortuna terrena; la formica laboriosa può simboleggiare la previdenza; la nave in tempesta può rappresentare le insidie della vita. In questi accostamenti, si cela una ricerca di significato trascendente nel tessuto stesso dell’esistenza.
- Moralismo d’Emblema:
Tuttavia, la forza stessa dell’emblema, la sua capacità di fissare un significato attraverso un’immagine potente, porta con sé il rischio di una deriva verso il moralismo d’emblema. Questo si verifica quando:
- L’analogia si irrigidisce in un’identificazione univoca e inflessibile. La complessità del reale viene ridotta a una singola interpretazione morale, perdendo sfumature e contesti.
- Il simbolo perde la sua vitalità evocativa e diventa un mero pretesto per veicolare un precetto morale.L’immagine non stimola più la riflessione, ma si fa didascalica e autoritaria.
- Il commento (subscriptio) si trasforma in una predica dogmatica, chiudendo ogni spazio per l’interpretazione personale e il dialogo interiore.
In questo scenario, l’emblema, nato come strumento di riflessione e scoperta morale, si trasforma in un veicolo di moralismi rigidi e spesso superficiali. La ricchezza metafisica dell’analogia si appiattisce in una lettura moralistica e normativa, perdendo la sua capacità di interpellare profondamente la coscienza del lettore.
-Tra evocazione e dogmatismo
L’opera di Horozco de Covarruvias, come molte raccolte di emblemi, oscilla potenzialmente tra questi due poli. La sua intenzione era indubbiamente quella di educare moralmente attraverso la forza evocativa delle immagini e la saggezza dei commenti. Tuttavia, il rischio insito nel genere stesso è quello di scivolare in una lettura eccessivamente didattica e moralistica, dove la ricchezza simbolica si riduce a una semplice illustrazione di precetti.
La riflessione metafisica che emerge da questa analisi ci invita a considerare la natura dinamica e spesso ambigua del significato morale. L’emblematicità morale, nella sua forma più autentica, stimola la ricerca interiore e la scoperta personale della verità etica attraverso la mediazione del simbolo. Il moralismo d’emblema, al contrario, rischia di imporre dall’esterno un sistema di valori rigido e decontestualizzato, soffocando la capacità critica e l’autonomia morale del soggetto.
In definitiva, l’eredità di opere come gli “Emblemas morales” ci spinge a interrogarci sul delicato equilibrio tra la forza comunicativa del simbolo e il pericolo di una sua sclerotizzazione in dogmi moralistici, ricordandoci che la vera comprensione morale non risiede nella semplice adesione a un precetto, ma in una riflessione profonda e continua sul significato dell’esistenza e sulle implicazioni etiche delle nostre azioni.
CENTRALITÀ DELLA PROVVIDENZA DIVINA
Un elemento centrale del suo pensiero teologico è la ferma credenza nella Provvidenza divina. Egli vede la mano di Dio all’opera nella storia umana, negli eventi naturali e nelle vicende individuali. La fortuna e il caso non sono forze cieche, ma strumenti nelle mani di Dio per mettere alla prova, educare o punire gli uomini. Come accennato nutre una visione profondamente pessimista della natura umana, segnata dal peccato originale e incline al vizio. Questa prospettiva lo porta a sottolineare costantemente la necessità della grazia divina per poter agire rettamente e raggiungere la salvezza. Le virtù umane, pur importanti, non sono sufficienti senza l’aiuto soprannaturale. Questa enfasi sulla dipendenza da Dio si inserisce nel dibattito teologico dell’epoca, pur non schierandosi in modo esplicito con le diverse correnti sul tema della grazia. La sua teologia è fortemente orientata alla pratica e all’etica. Non si concentra tanto su speculazioni dogmatiche astratte, quanto sull’applicazione dei principi teologici alla vita quotidiana e al comportamento morale. Gli “Emblemas morales” sono un chiaro esempio di questa impostazione: ogni emblema offre una lezione morale radicata in una visione del mondo cristiana. Egli utilizza le immagini e i commenti per persuadere il lettore a vivere secondo i precetti evangelici, evidenziando le conseguenze negative del peccato e i benefici della virtù. Nel suo pensiero, si può notare un equilibrio tra fede e ragione. Sebbene la fede sia considerata la via principale alla conoscenza della verità divina, la ragione ha un ruolo importante nell’interpretazione del mondo e nella guida delle azioni umane. Negli “Emblemas morales”, spesso ricorre a esempi tratti dalla filosofia classica e dalla saggezza popolare, integrandoli in una cornice teologica cristiana. Questo approccio riflette una tendenza del Rinascimento a integrare la sapienza antica con la rivelazione cristiana. Il sovrano è visto come un vicario di Dio sulla terra, chiamato a governare con giustizia, equità e misericordia, seguendo l’esempio di Giobbe come modello di pazienza e rettitudine anche nelle avversità. Questa visione si inserisce nel contesto delle teorie del diritto divino dei re, pur con accenti specifici sulla responsabilità morale del governante di fronte a Dio. L’originalità del pensiero teologico di Horozco non risiede tanto nella formulazione di nuove dottrine, quanto nel suo approccio pedagogico e comunicativo. L’utilizzo del genere emblematico come strumento per veicolare verità teologiche e morali è di per sé innovativo per l’epoca in Spagna. La combinazione di immagini evocative, brevi sentenze e commenti in prosa rende i concetti teologici più accessibili e memorizzabili per un pubblico ampio. Inoltre, la sua capacità di integrare diverse fonti di sapienza (Sacra Scrittura, Padri della Chiesa, filosofia classica, cultura popolare) in un unico discorso morale e teologico è un tratto distintivo della sua opera. Egli non si limita a ripetere dogmi, ma li reinterpreta e li applica al contesto concreto della vita umana, offrendo spunti di riflessione originali e stimolanti.
Infine, la sua profonda sensibilità per la fragilità umana e la necessità della grazia, unita a un forte richiamo alla responsabilità morale individuale e del governante, conferisce al suo pensiero teologico una rilevanza pratica e un’urgenza etica che lo distinguono nel panorama del suo tempo.
Il sesto “Agrigentino illustre” della nostra rubrica, Giovanni, fu una figura significativa del suo tempo, la cui opera rappresenta un importante contributo alla “letteratura emblematica” e offre uno spaccato interessante sul pensiero morale e politico del Rinascimento spagnolo. La sua attività come vescovo riformatore testimonia inoltre il suo impegno nella vita religiosa e sociale dell’epoca.