Sant’Atanasio e il Concilio di Nicea. Un pilastro dell’ortodossia e un precursore del dialogo.

Il Concilio di Nicea (325 d.C.) rappresenta una pietra miliare nella storia del cristianesimo, definendo principi teologici fondamentali che hanno plasmato la dottrina per secoli. In questo contesto, la figura di Sant’Atanasio emerge con un ruolo di straordinaria importanza. Sebbene all’epoca fosse solo un diacono al seguito del vescovo Alessandro di Alessandria, la sua fervente difesa dell’unità della Trinità e della piena divinità del Figlio contro l’arianesimo si rivelò decisiva per l’esito del Concilio. Questo articolo si propone di analizzare il contributo intellettuale e teologico di Atanasio a Nicea, evidenziando come la sua fermezza dottrinale, paradossalmente, possa essere vista come un esempio, seppur in un contesto diverso, di promozione di un “dialogo” interno alla Chiesa volto alla chiarezza e alla risoluzione di divisioni.

I

Il IV secolo fu un periodo di intensa fermentazione teologica per la Chiesa cristiana. La diffusione del pensiero di Ario, un presbitero alessandrino che negava la piena divinità del Figlio, creò una profonda spaccatura che minacciava l’unità della comunità cristiana. L’imperatore Costantino, consapevole delle implicazioni politiche di tale divisione, convocò nel 325 d.C. un concilio ecumenico a Nicea, in Bitinia. In questo contesto cruciale, la voce di Atanasio, pur non essendo ancora vescovo, si distinse per la sua lucidità teologica e la sua instancabile difesa dell’ortodossia nicena.Ario sosteneva che il Figlio di Dio era una creatura, seppur la più elevata, generata dal Padre e quindi non coeterna e consustanziale a Lui. Questa dottrina minava le fondamenta della fede cristiana, implicando una gerarchia ontologica all’interno della Trinità e mettendo in discussione la piena efficacia salvifica di Cristo.

II

Sebbene non avesse diritto di voto, Atanasio partecipò attivamente al Concilio come teologo e segretario del vescovo Alessandro. La sua profonda conoscenza delle Scritture e la sua acuta capacità dialettica gli permisero di confutare con vigore le argomentazioni ariane. Egli insistette sulla necessità di affermare che il Figlio è “consustanziale” (ὁμοούσιος – homoousios) al Padre, una formula che divenne il cardine del Credo Niceno. La sua argomentazione si basava su diversi punti chiave:

• L’unità divina: Se il Figlio non fosse pienamente Dio, l’unità della divinità sarebbe compromessa.

• La salvezza: Solo un Dio incarnato poteva pienamente redimere l’umanità. Se Cristo fosse una semplice creatura, la sua opera salvifica sarebbe limitata.

• L’interpretazione scritturistica: Atanasio dimostrò come le Scritture, interpretate correttamente, testimoniassero la divinità del Figlio.

La sua tenacia e la sua chiarezza teologica furono fondamentali per convincere la maggioranza dei vescovi a sottoscrivere il Credo Niceno, che condannava l’arianesimo e affermava la piena divinità di Cristo.

III

Sebbene il contesto sia quello di una disputa teologica e la sua azione mirasse a definire un’ortodossia contro un’eresia percepita, l’approccio di Atanasio può essere letto, in una prospettiva più ampia, come una forma di “dialogo” interno alla Chiesa. Egli non impose semplicemente la sua visione, ma si impegnò in un confronto intellettuale basato sulle Scritture e sulla ragione, cercando di persuadere gli altri vescovi della verità della sua posizione. Questo processo, seppur acceso e a tratti conflittuale, mirava a raggiungere una comprensione condivisa e a superare le divisioni attraverso un confronto di idee.

IV

La storia offre numerosi esempi di figure che, in contesti diversi, hanno promosso il dialogo e la comprensione tra posizioni divergenti. Paragonare Atanasio a queste figure può aiutarci a comprendere meglio come la sua azione, pur specifica al contesto teologico del IV secolo, possa risuonare con dinamiche più ampie di interazione e risoluzione di conflitti.

• Ciro il Grande (VI secolo a.C.): Il re persiano è celebre per la sua politica di tolleranza religiosa e per aver permesso agli Ebrei deportati a Babilonia di tornare a Gerusalemme. Il suo rispetto per le diverse culture e religioni del suo impero favorì la stabilità e la coesistenza pacifica.

• Ashoka (III secolo a.C.): L’imperatore indiano, dopo una violenta conversione al buddismo, promosse la diffusione dei principi buddhisti attraverso editti incisi su roccia e pilastri. Pur promuovendo la sua fede, incoraggiò anche la tolleranza e il rispetto per le altre tradizioni religiose presenti nel suo vasto impero.

• Rabbi Yohanan ben Zakkai (I secolo d.C.): In un periodo di grande crisi per il giudaismo a seguito della distruzione del Secondo Tempio, Rabbi Yohanan ben Zakkai negoziò con i Romani per preservare un centro di apprendimento a Yavneh. La sua azione pragmatica permise la sopravvivenza e la successiva rifioritura del pensiero rabbinico.

• Lorenzo de’ Medici (XV secolo): Il signore di Firenze fu un importante mecenate delle arti e della cultura rinascimentale. La sua corte divenne un luogo di incontro per intellettuali, artisti e filosofi provenienti da diverse tradizioni, favorendo lo scambio di idee e la fioritura di un nuovo umanesimo.

• Nelson Mandela (XX secolo): Il leader anti-apartheid sudafricano, dopo decenni di prigionia, giocò un ruolo cruciale nella transizione pacifica verso una democrazia multirazziale. La sua capacità di perdonare i suoi oppressori e di promuovere la riconciliazione nazionale fu fondamentale per evitare una guerra civile.

Queste uomini, pur operando in contesti radicalmente diversi da quello di Atanasio, condividono un elemento comune: la capacità di interagire con “l’altro” – che sia un’altra cultura, un’altra religione o un’altra fazione politica – con l’obiettivo di costruire ponti, risolvere conflitti o promuovere una convivenza pacifica. Nel caso di Atanasio, questo “altro” era rappresentato da una diversa interpretazione della fede cristiana, e il suo “dialogo” si svolse nel contesto di un concilio ecumenico volto a definire l’ortodossia. Il contributo di Sant’Atanasio al Concilio di Nicea fu determinante per la definizione della dottrina trinitaria e per la condanna dell’arianesimo. La sua fermezza teologica e la sua abilità dialettica lo resero un pilastro dell’ortodossia cristiana. Sebbene il suo operato si concentrasse sulla risoluzione di una disputa teologica interna alla Chiesa, la sua dedizione alla verità attraverso un confronto intellettuale, seppur acceso, può essere vista come un esempio, in un contesto specifico, di promozione del dialogo. La sua eredità continua a risuonare, ricordandoci l’importanza del dialogo, della chiarezza intellettuale e della fermezza nei principi per superare le sfide e promuovere la comprensione.

Francesco Rizzo

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