Pier Paolo Pasolini

A 50 anni dall’assassinio, l’Arte e il suo ruolo nella società post-fascista

Il 2025 segna i 50 anni dalla tragica scomparsa di Pier Paolo Pasolini (1922-1975), una figura complessa e poliedrica che ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura italiana del Novecento. Poeta, regista, scrittore, giornalista e intellettuale, Pasolini ha attraversato e interpretato con sguardo critico le trasformazioni dell’Italia, ponendo l’arte al centro della sua riflessione sul mondo e sulla società. La sua visione dell’arte, in particolare quella pittorica e scultorea, non fu mai meramente estetica, ma profondamente etica e politica, un veicolo per indagare l’uomo e la sua condizione nella società post-fascista.

L’ARTE COME STRUMENTO DI CONOSCENZA E DENUNCIA

Per Pasolini, l’arte non era un lusso o un mero divertimento, bensì uno strumento essenziale di conoscenza e denuncia. Egli riconosceva alla pittura e alla scultura un potere quasi archetipico, una capacità di esprimere verità profonde e atemporali che la parola, pur nella sua ricchezza, a volte non poteva raggiungere con la stessa immediatezza. La sua formazione, d’altronde, era stata nutrita anche da un profondo interesse per le arti visive, evidente nei suoi scritti e nelle sue scelte registiche.

Il suo sguardo era costantemente rivolto al mondo popolare e contadino, un universo che Pasolini vedeva come depositario di valori autentici e primigeni, non ancora corrotti dalla modernizzazione e dall’omologazione consumistica. In questo contesto, l’arte figurativa era per lui un ponte con il sacro e con una dimensione più autentica dell’esistenza. Era attratto dalla pittura primitiva, romanica e rinascimentale, non solo per la loro bellezza formale, ma soprattutto per la loro capacità di rappresentare una realtà ancora intatta, priva delle sovrastrutture e delle ipocrisie della borghesia. Vedeva in questi stili una purezza espressiva e una forza comunicativa che contrastavano con l’arte più recente, spesso percepita come contaminata e addomesticata.

IL CORPO E IL SACRO NELL’ARTE PASOLINIANA

Un tema centrale nella visione artistica di Pasolini è il corpo, spesso rappresentato in un’ottica che fonde il profano e il sacro. I corpi umili, contadini, “plebei” delle sue opere cinematografiche sono spesso inquadrati con una dignità e una sacralità che richiamano le figure di Cristo e dei santi nella pittura medievale o rinascimentale. Questo approccio non era una mera citazione stilistica, ma una vera e propria rilettura del sacro in chiave laica, dove la sofferenza e la bellezza del corpo umano diventavano metafora di una condizione esistenziale universale.

Pasolini era affascinato dalla capacità dell’arte di trascendere la realtà per rivelarne un significato più profondo. La rappresentazione del corpo sofferente o eroico, che sia nelle sculture etrusche o nelle opere di Giotto e Masaccio, era per lui un modo per esprimere l’indicibile, per toccare le corde più intime dell’animo umano. Non a caso, nelle sue regie cinematografiche, è possibile individuare citazioni visive e compositive di opere d’arte classiche, che non sono mai semplici riproduzioni, ma reinvenzioni cariche di significato, capaci di trasportare il sacro nel quotidiano e il mitico nel reale.

L’ARTE COME RESISTENZA ALLA SOCIETÀ DEI CONSUMI

La società post-fascista, in rapida evoluzione verso il boom economico e il consumismo, fu oggetto di una critica feroce da parte di Pasolini. Egli vedeva in questo processo una mutazione antropologica che stava distruggendo i valori tradizionali, le identità regionali e il patrimonio culturale del popolo italiano. L’omologazione culturale, la mercificazione di ogni aspetto della vita e la perdita di autenticità erano, a suo avviso, i segni di una nuova forma di “fascismo”, più subdola e pervasiva di quella storica.

In questo scenario, l’arte assumeva un ruolo di resistenza e testimonianza. Pasolini la considerava un baluardo contro l’omologazione, un luogo dove la diversità e l’autenticità potevano ancora trovare espressione. Attraverso l’arte, egli cercava di recuperare e valorizzare le voci sommerse, le figure marginali, tutto ciò che la società dei consumi tendeva a emarginare o a cancellare. La sua predilezione per l’arte che rifletteva un mondo “pre-industriale” non era nostalgia, ma una ricerca di modelli e valori alternativi a quelli imposti dalla modernità. A distanza di cinquant’anni, la visione di Pasolini sull’arte e il suo ruolo nella società rimane straordinariamente attuale. La sua capacità di leggere criticamente il presente, di anticipare le derive della globalizzazione e del consumismo, e di porre l’arte come baluardo di autenticità e libertà, continua a risuonare potentemente. Molti artisti contemporanei, pur con linguaggi e mezzi espressivi diversi, si confrontano ancora oggi con i temi a lui cari: l’alienazione, la mercificazione, il rapporto tra corpo e sacro, la ricerca di una dimensione più autentica dell’esistenza.

P.P.P. ci ha insegnato che l’arte non può essere separata dalla vita, dalla storia e dalla politica. Non è un rifugio estetico, ma un campo di battaglia, un luogo dove si esprimono le tensioni, le contraddizioni e le speranze dell’essere umano. Il suo lascito ci invita a interrogare costantemente il ruolo dell’arte nella società, a considerare la sua capacità di svelare, provocare e resistere, mantenendo viva la fiamma di una critica radicale e di un’autentica ricerca di verità.

Francesco Rizzo

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