A – L’IDEA MORTA. FANATISMO DI UN LINGUAGGIO SENZA VITA.

Quando Leonardo Sciascia afferma che “Un’idea morta produce più fanatismo di un’idea viva; anzi, soltanto quella morta ne produce. Poiché gli stupidi, come i corvi, sentono solo le cose morte”, ci troviamo di fronte una proposizione che, pur non essendo di per sé un’analisi filosofica del linguaggio in senso stretto, ci costringe a riflettere profondamente su come le parole e le idee funzionino (o non funzionino) nella nostra forma di vita. È una diagnosi cruda sull’uso del linguaggio in contesti di fede cieca e di azione senza senso. Cosa significa per un’idea essere “morta”? Non si tratta, ovviamente, di una morte biologica. Un’idea è “morta” nel linguaggio di Sciascia quando ha cessato di essere una forza vitale, quando non genera più pensiero genuino, non si adatta alle circostanze mutevoli, non si sottopone al vaglio critico dell’esperienza. È un’idea che ha perso la sua funzione, la sua applicazione nel mondo reale. Non è più uno strumento per comprendere o agire, ma una mera etichetta vuota, una formula ripetuta senza intuizione, un simbolo svuotato di senso.

Un’idea viva, al contrario, è una pratica: si modifica, si confronta, si sviluppa. È un linguaggio in costante evoluzione, che respira, che si adatta alle nuove esperienze. L’idea viva è interrogativa, non assertiva in modo dogmatico. È in dialogo, non in monologo.

Il fanatismo, allora, emerge non quando un’idea è in piena fioritura, ma quando è già appassita. È quando l’idea non ha più una funzione pratica, quando la sua “vita” (cioè il suo uso significativo nel mondo) è cessata, che essa viene brandita come un’arma, un assoluto indiscutibile. Il fanatismo è l’ultimo spasmo di un linguaggio che ha perso il suo senso, l’ultima, disperata, applicazione di una regola che non ha più una ragione d’essere.

Il fanatismo è, in questa prospettiva, l’applicazione meccanica, rigida e acritica di una regola linguistica che non è più connessa alla realtà. Non è un problema di comprensione, ma di un uso patologico del linguaggio. Il fanatico non sta “pensando” l’idea; sta semplicemente “operando con segni” in modo compulsivo, senza che questi segni abbiano un riferimento vivo nell’esperienza. La “verità” dell’idea non è più verificabile nella prassi, ma è un dogma intoccabile, un blocco monolitico che non ammette discussione. Il linguaggio del fanatico è un monologo. Non ammette la confutazione, il dubbio, la sfumatura. È un linguaggio che ha cessato di essere un “gioco” – con le sue regole, certo, ma anche con la sua flessibilità e la sua capacità di adattamento. Si è irrigidito in una pretesa di verità assoluta, diventando sordo alla voce dell’esperienza e della ragione.

E chi sono gli “stupidi” in questo aforisma? Non semplicemente persone prive di intelligenza. Nel contesto wittgensteiniano, lo “stupido” potrebbe essere colui che non è capace di vedere come funziona il linguaggio, colui che si lascia ingannare dalla sua superficie, prendendo una parola morta per una viva. Lo “stupido” è colui che non partecipa al gioco del linguaggio in modo significativo, ma si limita a riprodurne i suoni, le forme, senza afferrarne l’uso e il senso.

L’analogia con i “corvi che sentono solo le cose morte” è illuminante. I corvi si nutrono di carcasse, di ciò che non ha più vita. Così, gli “stupidi” si nutrono di idee morte. Un’idea morta è facile da digerire perché non richiede sforzo intellettuale, non impone la complessità del pensiero critico, non sfida le convenzioni. È rassicurante perché immutabile, non costringe a ripensare o a mettere in discussione le proprie certezze.

In questo senso, il fanatismo non è un eccesso di “fede” in un’idea, ma la totale assenza di fede nella sua capacità di generare qualcosa di nuovo, di vivo. È la regressione a un uso più primitivo del linguaggio, dove le parole sono solo comandi, slogan, etichette per escludere o includere, non strumenti per la comprensione o la creazione. La profonda osservazione di Sciascia ci spinge a vigilare non solo sulle idee che scegliamo di sostenere, ma sul modo in cui le parole funzionano (o cessano di funzionare) in noi e intorno a noi. Perché quando il linguaggio delle idee muore, quando cessa di essere una pratica viva e interrogativa, allora ciò che rimane è solo il rumore vuoto del fanatismo, un eco di un senso perduto, che solo chi non sa più ascoltare la vita può ancora “sentire”.

Francesco Rizzo

Avatar photo
Francesco Rizzo
Articoli: 73

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *